“La voce di Violette Ailhaud commuove, come se lei fosse lì in carne ed ossa a raccontare quell’episodio della sua vita risalente alla metà dell’Ottocento, eppure così attuale.
È una storia incredibilmente intima, quella che ha voluto affidare a un notaio, affinché fosse consegnata cinquant’anni dopo la sua morte alla sua parente più prossima, inderogabilmente donna, e giovane. Forse perché credeva che solo una donna giovane avrebbe potuto comprendere le ragioni del desiderio. “
“Terra di donne” è uno spettacolo che parla del coraggio delle donne e racconta la storia di alcune di loro vissute in uno sperduto villaggio sui monti della Provenza rimasto senza nemmeno un uomo a cusa della guerra.
Quel gruppo di donne , consapevoli della neccessità di futuro e di nuove vite, stipula un patto: il primo uomo che rimetterà piede nel paesino, sarà di tutte e aiuterà tutte nell’atto femminile per eccellenza: la procreazione.
Prendendo una difficile decisione le donne puntano tutto sulla vita, guardando all’uomo, che un giorno arriverà davvero, come un mezzo utile al migliore dei fini, cioè la vita, la rinascita del villaggio svuotato dalla guerra.
Coraggiose e controcorrente, moderne nel pensiero e negli atti, queste donne sono legate alla loro terra e non la vogliono veder scomparire, come è successo agli uomini che l’abitavano.
Nella storia di Violette, l’attesa è un ingrediente fondamentale.
Storia di luoghi isolati, di durezza, di confini. Storie di figure femminili, madri, sorelle, mogli che conquistano in questo isolamento uno spazio nuovo, lontano dagli stereotipi della sottomissione, dell’individualismo. Donne che attraverso la forza rivoluzionaria dei sentimenti, si ribellano all’ingiustizia creata dalla guerra, superando insieme, per il bene comune, dimensioni e definizioni imposte dal ruolo e dai perbenismi, presenti in ogni tempo, contribuendo così alla crescita e alla possibilità di una nuova rinascita.
Nello spettacolo emerge così il coraggio di scelte anche controcorrente dove l’identità forte e chiusa dell’isolamento, si sforza di trovare la soluzione al di fuori di sé e la soluzione, come quasi sempre, viene da una contaminazione positiva con il “diverso” con l’estraneo e dal superamento delle ipocrisie in un atto collettivo e condiviso.
L’episodio narrato stupisce per la modernità decisionale delle donne di quel borgo, della loro capacità di farsi gruppo compatto per condurre gli eventi e raggiungere il traguardo insieme per uno scopo condiviso, nobile e femminile: la procreazione. L’uomo passa in subordine come sposo, amante, compagno, diventa principalmente seme, oggetto quasi meccanico per evitare la distruzione delle radici di un luogo troppo amato, terra di avi, di storia, di fatica.
Si ringraziano per la collaborazione Mara Bontacchio, Battista Doloni, Yuri Gaeni, Marisa Lazzari e la Coop. Ecotecnica